lunedì 15 dicembre 2014

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Seduta in una panchina. La brezza del mare, il rumore della città alle spalle che sparisce. Il blu e l'azzurro che si fondono, una barca a vela in lontananza. 
Pronti, attenti, via. 

La valigia aperta in uno studio di 30 metri quadri, il sorriso di un ragazzo che fa suo qualcosa per la prima volta. Il lavoro, l'incubo di non riuscire, le aspettative da compiere. Le proprie, le più dure. Alti e bassi di una vita passata in metro, quella luce bianca sterile, il silenzio degli smartphone, la signora sudamericana che urla.

Otto ore per lavorare, otto ore per dormire e quello che resta per lasciarsi cadere con la bici dai campi da golf ai profumi di posti esotici.

Le scarpe da tennis quelle un po' rotte che non vuoi buttare. I jeans delle superiori, la felpa dell'universita. Le cuffie sempre aggrovigliate. Gli amici, la famiglia, la lontananza. I mesi che passano, ti guardi allo specchio, il tuo primo capello bianco. 
I jeans che ti stanno larghi, la schiena che ti cigola un po'. Lo stomaco che ti fa un po' male, il conto alla rovescia di un lavoro che sta stretto.
La nuova famiglia di amici che all'improvviso dà respiro.

Il rumore della città alle spalle. Il bambino che cade dal triciclo mentre il padre è al telefono.
Sento il profumo di vino caldo a casa di amici. Una casa con il parquet, un abbraccio vero. Una cena inaspettata e un sorriso meritato.

Il tuo viaggio è unico, a volte incontri vicoli ciechi. Altre incontri persone che si siedono accanto a te e iniziano a parlarti fino ad arrivare alla stazione giusta.
L'importante non è da dove vieni, ma dove decidi di scendere.